venerdì 27 giugno 2008

Domani, forse...

“Forse Domani” è vita vissuta, persone e fatti sono reali, ma non è cronaca, non è una storia. E’ quasi un documentario in flashback, realizzato col materiale ripreso in soggettiva dall’Autore all’epoca dei fatti e poi messo insieme con un sapiente lavoro di montaggio durato anni. Non segue una precisa cronologia, ma corre sul filo di ricordi a lungo masticati, interiorizzati, digeriti e, alla fine, esternati. E’ una finestra che si apre a mostrare le profondità dell’anima di un ragazzo e le altezze di un cielo che può essere raggiunto solo lottando per superare se stesso, i propri limiti, le proprie paure… per accettare il mondo, per scoprire la preziosità della vita, per diventare adulto…

Questa è, forse, la chiave di lettura: nel libro gli adulti compaiono, ma non appaiono, sono evanescenti, distanti, così come distante ed evanescente è Dio che pure c’è, ma deve essere raggiunto attraverso uno stretto sentiero adagiato sul fianco di una montagna franosa con l’abisso che si apre da un lato e la parete scoscesa che fa da muro sull’altro lato, una strada andina verso l’ombelico del mondo, un cammino iniziatico per arrivare ad alte vette.

Nella loro cruda realtà, in tutto lo spessore umano della loro ancor breve esistenza, ci sono, invece, i bambini dell’hogar. L’Autore dice di amarli come figli: nelle creature scorge il Creatore, prossimo a lui e, almeno per un fugace momento, tangibile.

Tuttavia, certo inconsciamente, si affeziona a loro perché in essi vede riflessa la propria infanzia.

La lotta che affronta per aiutarli a crescere con una prospettiva nel futuro, con una speranza di riscatto, è la sua stessa lotta: se loro - con il suo aiuto, con la sua tenacia, con i suoi sacrifici - riusciranno ad emanciparsi dalle tragedie familiari e a sfuggire ad una sorte che appare segnata e ineluttabile, lui - che ha avuto una famiglia normale e che gode di privilegi - può affrontare la vita senza le paure del bambino.

E, invece, no. Quei bambini se li porta dentro, nel cuore prima che nella memoria, così come si porta dentro i fatti accadutigli; li porta in Italia, nella società del benessere, nella sicurezza della casa paterna, nella scientificità dei suoi studi di medicina. Con essi si porta lo spavento, suo e loro, che lo sveglia nel cuore della notte: la paura di non farcela, di stare per affogare.

Non può continuare a tenersi tutto dentro da solo, così scrive un libro e lo dà alle stampe. Per mettere ordine nei suoi pensieri, per dare un senso ai suoi ricordi, per esorcizzare la sua esperienza, per comunicare le sue emozioni. Per superare l’adolescenza senza rinnegare il bambino che è in lui e mostrarsi al mondo, senza vergogna, con la consapevolezza dell’età adulta, ma con l’innocenza dell’infanzia.

E’ paradigmatico il racconto del salvataggio della bambina dalle acque del fiume: io potevo salvarmi: se la lasciavo potevo nuotare abbastanza forte da vincere la corrente e raggiungere la riva. Vivi sarebbe morta comunque, ma almeno io mi sarei salvato. Cito il passo centrale, il più significativo, ma tutto l’episodio, pur drammatico nella sua concretezza, meriterebbe un’analisi freudiana per come è raccontato. Chi è l’uomo che grida, che sta sull’altra sponda, se non l’adulto che c’è e non si sa chi sia?






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