giovedì 7 agosto 2008

Amos, un pecoraio alla corte del re d’Israele

“Unità compositiva (narrativa e figurativa, ma anche teologica) del libro di Amos è un lavoro originale da me elaborato in seguito alle lezioni tenute, alcuni anni or sono, dal prof. Antonio Pinna presso l’ISR di Nuoro e con la scorta dei seguenti testi:
  • La sacra Bibbia – Ed. Paoline, 1971
  • Bibbia TOB
  • La Bibbia di Gerusalemme
  • Dizionario di teologia biblica – Ed. Marietti
  • Nuovo dizionario di teologia biblica – Ed. Paoline
  • In ascolto dei profeti e dei sapienti – Ed. Messaggero
  • Testo emendato del “Libro di Amos” e appunti di semiotica (dispense del docente).

PREMESSA
Per la maggior parte degli esegeti delle opere da me consultate, le dossologie presenti nel “libro di Amos” (4,13; 5,8-9; 9,5-6) così come l’oracolo conclusivo (9,11-15) sono, verosimilmente, delle aggiunte posteriori.
Altre considerazioni basate su uno studio diacronico, portano a congetturare “un certo disordine” compositivo.
Il presente lavoro è invece un tentativo di dare una risposta sulla coerenza di tutto il testo quale noi oggi lo leggiamo nella sua forma canonica.
Ad una lettura sincronica appare non solo che la conclusione svela il senso recondito degli oracoli che la precedono, ma, anche, che le dossologie sono funzionali al discorso teologico.

ANALISI
Innanzi tutto notiamo che la struttura del testo si articola sui verbi dire ascoltare vedere: alla formula dell’inviato «Così dice il Signore…» segue il comando «Shemà! Ascolta!»; le visioni, infine, rivelano più chiaramente (dirò poi cosa intendo) l’agire di Dio.
Se la trilogia verbale dire ascoltare vedere costituisce la trama del tessuto narrativo, i verbi di moto andare tornare passare cercare incontrare camminare entrare uscire ecc. ne costituiscono l’ordito.
Al tema del dire-ascoltare appartiene tutta la colonna sonora del testo… Dal ruggire iniziale alle grida, al frastuono, ai lamenti, alle nenie, per finire con silenzio.
Da notare, poi, che all’enfatico «Così dice il Signore…» iniziale corrisponde, alla fine, un pacato «…Dice il Signore tuo Dio».
Volendo costruire un quadrato semiotico sul tema dell’ascolto, avremo
Il ruggito del Signore deve superare il frastuono per imporre il silenzio e farsi ascoltare.
Nel testo il silenzio è citato tre volte (5,13; 6,10; 8,3), le prime due in modo implicito, l’ultima in modo esplicito: a quel punto «verranno giorni» (8,11) in cui si bramerà di ascoltare la parola di Dio, non si cercherà più di far tacere i profeti (7,13, ma anche 2,12b) e «verranno giorni» in cui il Signore sarà «il tuo Dio» (9,13).
Al tema della visione può attribuirsi l’antitesi luce-tenebre (5,18-20): nel giorno del Signore ciò che è chiaro per i piccoli (7,2.5) e per i servi (3,7), sarà oscuro per i grandi (6,1) e per i potenti (6,13).
Le visioni mi sembrano fondamentali per cogliere il senso di tutta la profezia: c’è qui qualcosa che è , ma non appare. C’è il povero che grida a Dio e Dio lo ascolta.
Mi spiego: la comprensione umana dell’annuncio profetico è quella di Amasia, secondo il quale tutto ciò che Amos dice si riduce ad un disfattismo e ad una congiura: «Di spada morirà Geroboamo e Israele sarà deportato» (7,10-17).
In effetti, partendo dalla visione centrale, la terza, proprio questo ad Amos è rivelato: la spada contro la casa di Geroboamo; questo ripete ad Amasia e vi aggiunge la deportazione d’Israele (7,17).
In tutto il testo ricorrono le immagini di un terremoto che, evidentemente, quando viene scritto, è già avvenuto. I verbi al presente dei vv. 5,2; 8,8; e 9,5 indicano un fatto compiuto!
Ma: avviene forse qualcosa che non abbia senso? (3,6).
Il terremoto è una conferma: quando il profeta aveva aperto bocca, due anni prima, paventava un castigo più grande di carestia siccità cavallette peste guerra fuoco (4,6-11). Il castigo previsto da Amos non è però il sisma, che è stato e non sarà più (7,9 : il piombino), ma, dopo la guerra (2,13; 3,11; 5,7; 6,11), l’allontanamento dalla terra promessa (4,3; 5,27; 6,7). C’è un crescendo!
Considerando ora anche la seconda visione possiamo dire che Dio non ce l'ha con la campagna, ma con i palazzi (6,8) delle città. Infatti il fuoco, che nei primi sette oracoli divora i palazzi, viene risparmiato alla campagna- Saranno invece demolite le alture e i santuari.
Nella quinta visione il Signore, che nella terza stava "sopra" un muro verticale, sta ora "presso" l'altare.
Mi chiedo: cosa è avvenuto? Perchè ora c'è un rapporto orizzontale?
Nella prima e nella quarta visione compare un raccolto di fine stagione: in 7,13 le primizie sono riservate al re (significativamente della "falciatura del re" non trovo traccia altrove, nella Scrittura), le cavallette divorerebbero la seconda erba, ma Dio si impietosisce di Giacobbe, che è tanto piccolo; in 8,17 il canestro di frutta richiama la cesta delle primizie (Dt 26,1-11) che il codice deuteronomico associa al credo israelitico, ma è frutta di scarto.
Facciamo un salto indietro di circa un secolo e mezzo: Geroboamo, figlio di Nebat, primo re d'Israele, istituì una festa a Betel (1Re 12,26-27) nell'ottavo mese, il quindici del mese, simile alla festa che si celebrava nel regno di Giuda. Il settimo mese, il quindici del mese, in Giuda veniva celebrata la festa delle capanne (Lv 23,24) o del raccolto (Es 23,16); in questa occasione, oltre agli olocausti, venivano offerti i frutti del primo raccolto autunnale (Es 23,19).
Ora: la frutta presentata a Dio sull'altare di Betel è frutta o conservata o raccolta un mese lunare dopo il settimo. E' comunque lo scarto.
Giocando sui vv. 8,5-6 si può esprimere il seguente pensiero, ancor più maligno di quello ivi riportato: "Quando sarà passato il mese per andare a far festa con i guadagni del commercio del raccolto? A quel poveraccio del nostro Dio rifileremo gli avanzi, che altrimenti marciscono!"


Continua...


1 commento:

Anonimo ha detto...

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