giovedì 28 agosto 2008

Peccato non averlo saputo prima!

Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l`altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». (Lc 23,33-34)

Se conoscessimo in anticipo la conseguenza, anzi, le conseguenze delle nostre azioni probabilmente eviteremmo di compiere “cattive azioni”. Ma, lo dice Cristo sulla croce, non sappiamo quello che facciamo. Si fa presto a dire: osserva la “legge” del Signore, cammina nei Suoi principi, fai la volontà di Dio. In realtà, anche chi si accosta spesso alla confessione sacramentale e conosce bene le proprie debolezze, prima o poi ricasca nei suoi peccati “over green”. Perché ci sono cose alle quali non rinunciamo, cose che ci piacciono, cose che «vabbè, sono solo veniali» e, anche se sappiamo che ci fanno male e fanno male al nostro prossimo, ogni tanto ce le concediamo: un peccato di gola, per esempio. «Chissà perché» ci diciamo «qualcuno ha annoverato “la gola” tra i sette vizi capitali. Suvvia: una mangiata epica innaffiata di buon vino, se fuori di quaresima, mica è peccato! » Ovvio che no. Non è peccato fare festa quando è festa, non è peccato godere dell’abbondanza quando c’è, non è peccato neanche alzare un po’ il gomito per stare in allegria con gli amici se poi non ci si deve mettere alla guida… e via dicendo.

Il peccato – lo dice il catechismo (CCC 1849ss) – è una trasgressione in ordine all’amore vero, cioè alla Carità (I Cor 13), verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni.

Però: “perverso attaccamento a certi beni” non deve intendersi solo come “vizio del quale si è schiavi” o “uso smodato di cose intrinsecamente nocive”, bensì come “attaccamento ai beni creati in contrapposizione o in preminenza rispetto alla tensione verso i beni eterni”.

Se l’abbuffata, oltre a farmi star male, mi allontana da Dio e dagli altri, è peccato.

Ed è tanto più peccato se ho la coscienza di sbagliare (piena avvertenza), se so che la gola è un vizio capitale (materia grave), se capisco che dietro c’è un inganno del demonio (deliberato consenso). Ma anche quando non ricorrono tutte le condizioni per poter parlare di “peccato mortale”, la Carità rimane ferita e, da quella ferita, può generarsi cancrena che uccide, annullando il disegno di Dio su di me, rompendo la comunione col prossimo, generando sofferenze nel mondo. In una parola: è male.

C’è stato un tempo in cui bevevo per stordirmi, per esorcizzare le mie paure, per stare per conto mio, separato in casa… Non praticavo la Chiesa, all’epoca, ma capivo benissimo che stavo sbagliando… Se non sono caduto nel vizio, nell’alcolismo e nelle sue conseguenze, è solo per grazia ricevuta, per l’amore gratuito che Dio ha avuto verso di me peccatore.

Peccato non averlo saputo prima? Peccato, piuttosto, dimenticarlo oggi.

La libertà non consiste nel fare o non fare ciò che ci pare e piace, la libertà – quella vera – consiste nell’essere liberi dalla paura della morte.

Solo la fede nella risurrezione può liberarci dall’angoscia di vivere. Credere in Dio e conoscere i suoi comandamenti non è sufficiente se la nostra esistenza non è salvata dal non senso o, meglio, dal senso incombente della vecchiaia, della malattia e della morte. Inevitabilmente andiamo incontro alla sofferenza e ogni giorno abbiamo le nostre pene, le nostre piccole morti quotidiane. La verità, quella che ci rende liberi, è che Dio ci ama e ci ha tanto amato da donarsi a noi, nella persona dell’Unigenito Figlio, sulla croce (Rm 5,6ss). La verità è che nulla ci può separare da Dio, neanche il peccato. E’ di questa verità che siamo ignoranti: anche quando l’abbiamo appresa c’è qualcuno, avverso a Dio, che ce la nasconde, che ci vuol far credere che Dio non è un padre buono che aspetta il nostro ritorno (Lc 15,11-32).


«Perciò vi dico: per la vostra vita, non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neppure Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: che cosa mangeremo? che cosa berremo? che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.» (Mt 6, 25-34).

«Cercate prima il regno di Dio…» Ma, anche quelli che ci diciamo credenti, lo cerchiamo? Oppure cerchiamo la”nostra” realizzazione, il consenso degli altri, l’affetto del prossimo, il benessere del corpo prima che dello spirito? Vogliamo essere ammirati nella nostra vanagloria o vogliamo dare gloria a Dio?

Perchè il discrimine è proprio questo.

Gesù veniva chiamato "mangione e beone" dai farisei perchè sedeva a tavola con pubblicani e peccatori e i suoi discepoli venivano guardati con meraviglia dai discepoli di Giovanni perchè non facevano, come invece loro, digiuni frequenti per affrettare la venuta del Regno (Mt 9,10-15). Gesù, in questo modo, manifestava la divina misericordia e anticipava la gioia del banchetto eterno e, tuttavia, Lui e i suoi discepoli vivevano nella totale precarietà, spigolando ciò che la Provvidenza offriva loro.

La gioia vera, la perfetta letizia, sta nel godere del creato con rendimento di grazie verso il Creatore e Signore di tutte le cose. La tristezza del peccato, invece, subentra quando subiamo le conseguenze delle nostre scelte egocentriche... Ma anche questo è dono di Dio, per convertirci, per portarci a Lui, alla Vita e al Sommo Bene.

Quando vediamo il male, in noi o attorno a noi, non chiediamoci perchè Dio lo permette. Chiediamoci, invece, se, in qualche modo, ne siamo responsabili. E' molto evidente che se sono un tabagista non posso imputare a Dio un tumore ai polmoni. E' meno evidente che, se lo ha mio fratello che odia le sigarette, ciò possa essere a causa del fumo passivo che gli ho fatto respirare io. Non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello che, in qualche modo, contribuisco anch'io allo strapotere delle multinazionali e allo sfruttamento del terzo mondo



"La gola" è uno dei miei dipinti della serie "Seven" (1985) che illustra i sette vizi capitali: rappresenta un uomo - me stesso - tutto sensi e poco cervello, che mangia e beve fino a star male...


Continua…




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