martedì 10 febbraio 2009

Che senso ha?



Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere. Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne. (Filippesi 1, 21-24)

Per i credenti - per coloro, cioè, che, pur nella loro debolezza, credono che la volontà di Dio è il meglio per la loro vita e per la vita del mondo - il valore del vivere e del morire dipende esclusivamente dal disegno salvifico del Creatore.

Lui ha creato l'uomo a sua immagine per renderlo partecipe del suo Amore onnipotente ed eterno. Siamo stati creati per la vita: per la pienezza della vita, anzi.

Nella nostra visione limitata non possiamo neanche immaginare il futuro di gloria che ci attende e, tuttavia, lo speriamo e lo desideriamo con tutto il nostro essere. Lo Spirito Santo, ricevuto nei sacramenti, dà testimonianza al nostro spirito che questa vita che viviamo nella carne è solo un passaggio obbligato verso la perfetta beatitudine. Sappiamo anche, però, che questa vita, vissuta nella fede nel Figlio di Dio il quale ci ha amato e ha dato sé stesso per noi, è già - qui e oggi - vita eterna.

Per il credente, dunque, non c'è differenza tra il vivere e il morire. La morte è solo un passaggio, per quanto doloroso, e la vita - in quanto ogni istante è dono di Dio in ordine al Suo progetto d'amore - non ci appartiene.

Già! Ma per chi non ha il dono della fede? Per chi pensa che tutto il bello e il brutto del mondo si consuma in quei pochi anni (cento/centoventi/mille?) che intercorrono dalla culla alla tomba?

Che senso ha una vita debole?

Che senso ha la vita di un “coso” che cresce nell'utero di una donna che ha subito violenza?

Che senso ha la vita di un vecchio malato e immobile, magari sedato dalla morfina, che pesa sulla famiglia e sulla società?

Di questo passo, potrei continuare e chiedermi che senso ha la vita di un cerebroleso grave, di uno psicopatico assassino ecc. ecc.

Che senso hanno avuto i diciassette anni vissuti da Eluana in stato vegetativo?

Per il credente non ci sono dubbi: se Eluana poteva vivere - sebbene in stato di incoscienza e seppure con l'ausilio dell'alimentazione e dell'idratazione artificiale – doveva vivere per compiere fino in fondo il disegno di Dio.

Ora che tutto è compiuto, ora che Dio ha permesso che la volontà degli uomini facesse violenza alla natura, invece di aiutarla, per i non credenti resta un fatto che non possono ignorare: Eluana - lei, la sua persona inerme - ha obbligato milioni di cittadini ad interrogarsi sulla bioetica, ha mosso politici, giuristi e teologi al confronto, ha scosso le fondamenta stesse del nostro Paese.

Quando succede (grazie a Dio, ancora succede) non si può sapere che conseguenze avrà per la famiglia e per la società e per il mondo la nascita di un bambino.
Solo dopo, in base alle cure date o negate, all'amore conosciuto o alla violenza subita, quel bambino diventerà un santo o un criminale. Eppure quel bambino, già al momento del concepimento, per il solo fatto di esistere, incide significativamente sul corso degli eventi, cambia la Storia. Quanto più la sua nascita, quanto più la sua vita!







Continua...

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